Ci spaventa lo “Ius soli”?
Da qualche
settimana il «diritto del suolo» ossia dell’ottenimento della cittadinanza
italiana da parte di immigrati residenti nel nostro paese è al centro della
discussione politica nazionale.
Atteso che l’opinione
pubblica mostra un interessamento relativo alla questione (cosa sbagliata a mio
parere), si sentono opinioni politiche delle più disparate e come al solito associate strumentalmente ad altre vicende non collegate tra loro.
In maniera
subdola nei salotti televisivi i temi dello ius soli e dei continui sbarchi di migranti
sulle nostre coste, vengono messe in stretta relazione e discusse in un connubio
che, in maniera volutamente manipolatoria, assopisce la capacità di analisi e di
giudizio razionale e porta invece il piano della discussione su quello emotivo ed in particolare della paura, più
produttivo dal punto di vista elettorale.
Quale paura? Saremo
invasi dagli stranieri e forse anche da potenziali terroristi !
Ma cosa prevede
veramente la proposta in discussione e quante persone ne sono interessate?
La legge
interessa circa 800mila minori stranieri figli di immigrati.
Oggi il cittadino
straniero nato in Italia, ha diritto alla cittadinanza solo se, da maggiorenne ed
entro un anno, dichiari di volerla
acquisire e di aver risieduto nel nostro Paese "legalmente e
ininterrottamente".
La nuova legge oltre
a questi casi introduce altre due
modalità di acquisizione della cittadinanza che riguardano i figli minori: lo
ius soli “temperato” e lo ius culturae.
Per il primo, la
cittadinanza sarà concessa per i figli, nati nel territorio della Repubblica,
di genitori stranieri se almeno uno di loro ha un permesso di soggiorno Ue di
lungo periodo e risulta residente legalmente in Italia da almeno 5 anni. Per il
secondo, potranno ottenere la cittadinanza anche i minori stranieri nati in
Italia, o entrati entro il 12esimo anno, che abbiano “frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso
istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e
formazione professionale triennali o quadriennali”. La frequenza del corso
di istruzione primaria deve essere coronata dalla promozione e i ragazzi
arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni, poi, potranno avere la cittadinanza
dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato
“un ciclo scolastico, con il
conseguimento del titolo conclusivo”.
La bugia della cittadinanza
svenduta è la solita bufala utile a creare tensione e paura, portare un
principio sacrosanto ad essere ostaggio della partigianeria politica,
testimone ne è il fatto che l'approvazione della legge è stata rinviata a settembre per lo
sfilarsi di una parte della maggioranza di governo che è portabandiera di ideali
conservatori.
La verità invece è un’altra e le domande che
dobbiamo porci sono altre: hanno diritto dei cittadini che risiedono nel nostro
paese da tempo, di veder riconosciuto per i propri figli il diritto di essere
italiani dopo essere cresciuti, aver studiato, avere relazioni personali e di
amicizia come tutti quanti noi ? Cosa
comporta il mancato riconoscimento di questo diritto?
Ed è proprio su questa
seconda domanda che vorrei soffermarmi per un solo momento, ossia la paura di
creare nuovi ghetti e nuove “banlieue”
alla francese che in potenza potrebbero alimentare fenomeni di fondamentalismo
e terrorismo.
Personalmente
penso che sia proprio il principio dell’esclusione la strada maestra per l’emarginazione e le conseguenti dinamiche di rivendicazione e di odio. Il restare
“fuori” da una comunità, l’essere identificato come diverso, come elemento
estraneo, specie nella fase adolescenziale è sempre un vissuto traumatico nonché viatico
allo sviluppo di adulti che coveranno forte risentimento per quella società che
non sarà mai stata vissuta come accogliente ma al contrario come impositiva e
opprimente.
Diversamente dalla Francia siamo ancora in tempo per poterci strutturare evitando di creare
ghetti etnici sia sociali che fisici, ma
continuare invece sulla strada dell’integrazione fino ad ora percorsa discretamente.
Nel nostro passato recente e in particolare nel nostro territorio, abbiamo già
vissuto esperienze simili, basti pensare a come i molti immigrati albanesi arrivati
qui negli anni novanta, si sono integrati nel tessuto socio-culturale senza che
si siano mai sviluppati fenomeni estremi di intolleranza e conflittualità.
Chi si professa progressista, chi promuove il rispetto dell’uomo
e dei suoi diritti, non può subire passivamente la disinformazione e la
manipolazione di questi giorni ma ha quasi l'obbligo di diffondere ed educare ad un giudizio razionale
e consapevole, all’accoglienza e all’inclusione. Un’occasione da non perdere.
Alla prossima !